Il referendum sul lavoro è una battaglia di civiltà per il ripristino di diritti fondamentali e i diritti non sono in contrapposizione allo sviluppo, come molti oggi vorrebbero far credere. Sergio Cofferati, parlamentare europeo, è fra i promotori del referendum e, tra una trasferta a Bruxelles e una a Strasburgo, esprime in questa intervista tutta la sua convinzione e l’impegno su temi che lo hanno visto per anni in prima linea.
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D – Molti mettono in contrapposizione la difesa dei diritti del lavoro con la necessità di creare occupazione soprattutto per i giovani.
Cofferati: E’ una contrapposizione strumentale, i referendum hanno lo scopo di ripristinare dei diritti fondamentali per il mondo del lavoro, parliamo di diritti individuali, come quello sancito dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori, e di diritti collettivi, come quello relativo alla contrattazione nazionale che viene messa in seria discussione dall’art.8 della finanziaria 2011. E’ importante, in ogni caso, dire ai nostri giovani che non si può rinunciare all’idea di avere un lavoro giustamente remunerato e che esso deve essere corredato da diritti fondamentali.
Se diamo uno sguardo agli ultimi dieci anni di ciclo economico vediamo che tra il 2000 e il 2008 vi è stata comunque una crescita e che il sistema dei diritti del lavoro non ha creato alcun problema allo sviluppo. Sicuramente non sono i diritti del lavoro che impediscono gli investimenti. La crescita si ha con gli investimenti nell’innovazione di prodotto e di processo. Questi sono i cardini dello sviluppo e le maggiori tutele del lavoratore garantiscono una migliore qualità del lavoro stesso.
E’ vero, tuttavia, che una parte del sistema delle imprese ritiene che la competitività si acquisisca solo diminuendo i costi, tutti i costi, a partire da quelli dei lavoratori. Negli ultimi tempi è subentrata una sorta di ideologia che descrive un lavoro senza diritti come se la compressione dei lavoratori fosse l’unica strada per rilanciare la produttività e l’occupazione, ma non è così.
D – Un’altra obiezione è che art.8 e art.18 non sono centrali rispetto alla crisi.
E’ vero il contrario. Oggi è completamente saltato il meccanismo redistributivo, ci sono profonde ingiustizie a partire dalle questioni fiscali sino a quelle contrattuali che aggravano la condizione reddituale, ed è per questo che l’iniziativa referendaria è importante. L’art.8 ne è un esempio. Si tratta di una norma che va a cancellare i contratti nazionali di lavoro agendo su due aspetti. Il primo è quello delle persone. I lavoratori perdono i benefici del contratto nazionale di lavoro e si ritrovano a fare i conti con il solo contratto aziendale. Il secondo aspetto riguarda le imprese. Ammesso che vi saranno imprese che continueranno ad applicare i contratti nazionali (e questo lo auspichiamo) queste si troveranno a fare i conti con una concorrenza sleale perché solitamente i contratti nazionali sono più onerosi.
Vi è un ulteriore aspetto che è l’attacco al ruolo dei sindacati che sono i soggetti storicamente preposti alla contrattazione collettiva. In questo modo si cerca di cambiare la natura del sindacato sottraendogli la materia della contrattazione e spingendoli sempre più ad occuparsi dell’erogazione di servizi. Ma questa è altra cosa rispetto al ruolo primario delle organizzazioni dei lavoratori, che è quella di rappresentare e difendere i loro interessi.
D – domanda d’obbligo sulla vicenda Fiat, nelle cui dinamiche art. 8 e art. 18 hanno grande rilevanza. E’ a rischio il futuro della produzione auto in Italia?
La Fiat è la capofila della competizione bassa e da tempo sta applicando la drammatizzazione dei rapporti aziendali. Un sindacato come la Fiom che vuole contrattare viene contrastato perché si cerca di negargli proprio la contrattazione a meno che non sia al ribasso.
Sulla crisi della Fiat tutti i dati disponibili ci dicono che il problema principale è quello della qualità del prodotto che non incontra le richieste del mercato. Se Fiat non investe nell’innovazione, nei modelli di auto, non recupererà il differenziale con le altre imprese analoghe che agiscono nel campo europeo. Il quadro è destinato a peggiorare al di là delle rassicurazioni di Marchionne.
D – La decisione di sostenere i referendum ha acceso una discussione nel suo partito, il PD.
Io ho firmato e sono fra i promotori dei referendum e penso che sia giusto provare a ripristinare dei diritti fondamentali che sono stati cancellati. A coloro che contestano l’utilità dello strumento referendario dico tranquillamente che se non sono d’accordo sul metodo allora mettessero nel loro programma elettorale il rispristino di questi diritti. Se si fa in questo modo va bene, altrimenti significa che si vuole prendere una direzione diversa. Ed anche a chi sostiene che si può intervenire in Parlamento ribadisco lo stesso concetto: nel frattempo cancelliamo le norme sbagliate. Poi facciamo una discussione su un testo condiviso.