Dal punto di vista strategico l’Italia è interessata ad avere buoni rapporti con gli stati nati dalla dissoluzione della federazione jugoslava e con gli altri paeasi balcanici sia per ragioni economiche, essendo questi paesi un mercato interessante per i nostri prodotti, ma anche per reagioni geoplitiche. I Balcani sono infatti da almeno 30 anni “zona di caccia” per la Germania, mentre gli USA sono interessate soltanto al controllo militare sia della zone che di quelle vicine, come il Medio oriente e l’area del Mar nero.
Di questa “gara” ne è testimonianza la situazione bancario finanziaria della vicina repubblica slovena dove le principali banche sono state privatizzate ed ora sono di proprietà italiana (Intesa, Unicredit) o austrotedesca. Le strutture produttive sono invece per gran parte di proprietà di multinazionali europee o cinesi.
Si comprende così una politica della Farnesina che opera sottotono, ma guarda al sodo ed alla tutela degli interessi economici italiani considerando che la Slovenia, nel suo piccolo, può essere la porta finanziaria e mercantile verso sud ed est.
Non è certamente un caso che l’Italia, partner strategica nella NATO, si sia assunta il compito di “difendere” la piccola repubblica pattugliando i suoi cieli, essendo la Slovenia priva di una forza aerea degna di questo nome.
Dal punto di vista della sicurezza e dei flussi migratori la Slovenia assieme alla Croazia è impegnata a frenare, per conto dell’Italia e dell’Austria, i flussi lungo la “via balcanica”. Così nasce la famigerata barriera di filo spinato e tagliente lungo il confine croato e l’accordo sulle pattuglie miste italo-slovene al nostro confine.
I risultati sono, ovviamente, abbastanza deludenti, dato che il problema delle migrazioni non è risolvibile con metodi militari, ma a monte, facendo tacere le armi sugli scenari di guerra ed aiutando la ricostruzione di questi teatri, come la Siria o l’Afganistan.
In questo contesto le minoranze linguistiche italiana in Istria e nel Quarnero e quella slovena nel Friuli Venezia Giulia rappresentano un occasione di cooperazione e, per altri versi, di “garanzia” reciproca contro eventuali turbative.
E’ in questo contesto che nasce, già alcuni anni fa, l’accordo dei due ministri degli esteri (di allora) Angelino Alfano e Karel Erjavec per la restituzione del Narodni dom di Trieste alla comunità slovena ampliando l’interpretazione della relativa norma della legge di tutela del 2001. L’accordo prevede il trasferimento della proprietà ad una fondazione espressa dalla minoranza slovena (e la possibile partecipazione dei due Stati), la ristrutturazione dell’edificio in via Filzi ed il trasferimento della Scuola di lingue nel sito dell’ex OPP, attualmente di proprietà del Comune. L’atto formale doveva essere celebrato il 13 luglio 2020 durante la commemorazione del centenario dell’incendio fascista della Casa nazionale degli slavi di Trieste alla presenza dei due capi di stato Mattarella e Pahor.
Malgrado la pandemia che ha costretto le due diplomazie a ridurre la portata della manifestazione (che non è stata annullata) le destre nazionaliste si sono immediatamente mosse per impedire questo gesto di pacificazione o almeno cercando di inquinarne il contenuto.
Così inizia una campagna di disinformazione e provocazione in cui si sotiene persino la tesi allucinante secondo cui il Narodni dom sia stato incendiato da “terroristi jugoslavi”, smentendo peraltro i giornali dell’epoca, gli storici ed il capo dei fascisti giuliani Francesco Giunta che se ne era pubblicamente vantato.
Si sostiene inoltre che l’Italia avrebbe già pagato il proprio debito nei confronti della comunità slovena avendo cofinanziato la costruzione del teatro sloveno in via Petronio con 500 milioni di lire, mentre la gran parte delle spese era stata sostenuta dalla Jugoslavia e dalle organizzazioni economiche slovene. Le polemiche rieccheggiano il discorso che nel 1964, all’inaugurazione del teatro, fece il commissario di governo Libero Mazza in cui invitò la minoranza a “smetterla col suo vittimismo”.
Sottotraccia la destra cerca di ottenere un contentino rivolgendo appelli ai due capi di stato affinché si rechino “in pellegrinaggio” alla cosidetta foiba di Basovizza. Mentre rimane inascoltata la richiesta dei famigliari dei fucilati al poligono di Basovizza nel 1930 per ordine del Tribunale speciale fascista di annullare la condanna a morte. I fucilati di Basovizza sono, a tutti gli effetti giuridici, ancora considerati “terroristi”, la condanna ancora valida, ancorchè emmessa da un tribunale fascista il cui operato era stato considerato nullo dalla Corte costituzionale della Repubblica.
Intanto continua l’offensiva nel campo del revisionismo storico inaugurato dall’incontro Violante – Fini a Trieste ed il cui effetto più visibile sono le continue provocazioni per il Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo. Ora la Giunta comunale di Trieste proclama il 12 giugno Festa della liberazione di Trieste dai partigiani jugoslavi. Continua così la strategia della divisione della memoria. Giorno della memoria dell’olocausto del 27 gennaio pareggiata dal 10 febbraio, ora 25 aprile annullato col 12 giugno. Manca solo la Festa della liberazione dalle truppe napoleoniche che avevano occupato le Provincie illiriche…
Al di là di ogni sarcasmo i tentativi di divisione della società triestina e regionale sono lo strumento sperimentato dalle destre per annientare con noti mezzi di distrazione di massa ogni velleità di opposizione. Sapendo che il PD e ciò che rimane del centrosinistra ne sono complici interessati e in questo caso persino iniziatori, come ben ricorda il compagno Furlanič, che volevano lasciasse la presidenza del consiglio comunale per aver osteggiato la proposta dei fascisti votata anche dal PD.
Del resto nuotare in acque torbide è tipico per certe forze politiche.
Ciò che ancora non si sa è se l’accordo tra i due stati preveda qualcosa anche a favore degli italiani rimasti nel Capodistriano. Non è escluso invece che la Farnesina abbia l’intenzione di rinnovare la richiesta di restituzione di parte dei beni abbandonati per i quali la Slovenia ha pagato quanto convenuto, ma il governo italiano si rifiuta di incassare per tenere aperto il contenzioso.
Non è che, in questo contesto, il Governo di Lubiana si comporti molto bene. Il bilinguismo nel Capodistriano ha molte falle, specie nell’ambito privato, ma anche nel pubblico impiego e nei servizi. La TV slovena ha intanto cercato di ridurre i programmi per la comunità italiana, suscitando forti proteste. Ridotto anche l’organico redazionale di TV Capodistria.
Malgrado ciò il deputato garantito della minoranza italiana nel parlamento sloveno ha votato la fiducia al nuovo governo di destra formato da Janez Janša e continua a sostenerne le principali decisioni.
Cìè stata infatti una decisa svolta a destra a Lubiana, dove all’inizio dell’epidemia si era dimesso il premier Marjan Šarec, comico prestato alla politica, che aveva governato con una coalizione di centro sinistra, minoritaria cui la Sinistra dava una mano in cambio di leggi socialmente progressiste. Il governo è però caduto sul problema della sanità privata cedendo alle lobby delle assicurazioni private e delle mutue. Due partiti di centro (i liberali del Partito del centro moderno ed i pensionati dello Desus) hanno fatto il salto della quaglia passando a destra e consentendo così allo SDS (partito democratico, di estrema destra) dell’attuale premier ed ai democristiani di ottenere una solida maggioranza in parlamento.
Appena eletto il governo di destra ha sostituito i capi dell’esercito, della polizia, dell’ufficio di investigazioni, dei servizi segreti, dell’Istituto superiore di sanità, parte degli organi della TV di stato ecc.
Il premier Janša, già noto per i suoi traffici di armi durante le guerre balcaniche e che ha passato anche dei mesi in galera per un episodio di corruzione (salvato dalla Corte costituzionale in cui ha inserito dei propri sostenitori), è rimasto anche in questo caso invischiato in scandali riguardanti l’acquisto di mascherine e respiratori durante l’epidemia Covid19.
Così è in corso una dura polemica nei confronti di ogni opposizione, del mondo della cultura, dei mass media, tentativi di estromettere da ogni decisione le organizzazioni non governative della società civile…
Di contro l’opposizione sorta spontaneamente continua a manifestare, ogni venerdì, con cortei di biciclette in tutte le città slovene, da Capodistria e Nova Gorica a Maribor, Lubiana, Kranj, Novo mesto ecc. Solo a Lubiana si sono radunati in diecimila. Altrettanti nelle altre città. E dicono che continueranno finchè il governo di destra non se ne andrà.
La reazione di Janša e della sua TV privata, finanziata dal suo amico ed alleato Orban, è molto dura ed offensiva. La polizia ha avuto l’ordine di identificare tutti coloro che, durante le manifestazioni, usano lo slogan “Morte al fascismo, libertà ai popoli”.
Il governo di destra e lo SDS in particolare usano nella battaglia politica slogan “sicuritari”, simili a quelli della Lega dalle nostre parti. Parlano di “invasione dei migranti” e di difesa della nazione slovena. Perciò il paese pullula di formazioni paramilitari, una specie di squadre d’azione, che si offrono a difendere i confini dando la caccia ai profughi. Specie adesso che il parlamento non ha approvato la richiesta di dare all’esercito pieni poteri di polizia per difendere lo stato. Queste squadre paramilitari non solo vengono tollerate dal potere, pur configurando una specie di “esercito di partito”, ma addirittura sollecitate ad entrare nelle forze armate legali. Appello fatto dal ministro della difesa Matej Tonin, democristiano, mentre il premier da sempre sostiene la necessità di formare sul modello americano una “Guardia nazionale” di volontari spinti dallo “spirito patriottico”.
Così succede che ai confini si presentino queste squadre paramilitari, tollerate dal potere politico, usando violenza ai profughi ed altri malcapitati. Come i giovani triestini, di lingua slovena, catturati sopra la Val Rosandra.
Imbarazzante. Sia per il governo sloveno che già deve spiegare in parlamento come mai gli “squadristi” abbiano potuto irrompere nella sede della polizia di Slovenska Bistrica interrogando gli ufficiali e minacciandoli se non avessero collaborato con loro.
Insomma, al nostro Nord Est ed ai confini si sta giocando sporco attizzando gli animi di un opinione pubblica già traumatizzata dalla quarantena e dall’isolamento di qua o al di la del confine.
Infatti non dobbiamo mai dimenticare che le nostre zone, le nostre città, la nostra regione, vivono in simbiosi con i confini sempre pià aperti all’integrazione economica e sociale. Basti pensare a quante migliaia di cittadini sloveni o italiani vanno quotidianamente a lavorare oltre confine. A quanti giovani hanno comprato o affittato casa chi a Sesana, chi a Gorizia, in base al minor costo degli immobili e delle spese di vita quotidiana. Ci sono centinaia di agricoltori che hanno la loro terra, le vigne ed i frutteti, di la o di qua dal confine. Ed infine gli autotrasportatori, gli studenti, persino gli scolari di Muggia che frequentano le elementari a Crevatini, in Slovenia.
Simbolicamente quest’integrazione è iniziata con gli accordi di Udine che istituirono i lasciapassare di frontiera e contemporaneamente i “conti autonomi” per il piccolo commercio trasnfrontaliero.
La pandemia ha cancellato tutto in un paio di giorni tra lo sbraitare del leghista Fedriga che voleva chiudere tutto, salvo poi protestare quando è successo davvero e la Slovenia ha scoperto di avere alle proprie porte un focolaio di infezione. A Trieste il numero dei malati e dei morti è di gran lunga superiore a tutta la Slovenia che di abitanti ne ha dieci volte tanti…
I malumori suscitati e spontanei sono serviti a coprire l’incapacità dei governanti cittadini, regionali e nazionali, di risolvere con rapidità i problemi sorti.
Ma non è mai troppo tardi. (sts)