Il mese di giugno ha rappresentato il picco dei suicidi tra i soldati dell’Esercito americano. I media hanno dato la notizia con una certa riluttanza confinandola in brevi articoli. 32 militari si sono uccisi e si tratta del piu’ alto numero di casi da quando nel 2009 l’andamento dei suicidi nei ranghi delle forze armate americane ha cominciato ad essere monitorizzato e reso di pubblico dominio.
Secondo il colonnello Chris Philbrick, direttore dell’ufficio che dovrebbe prevenire il diffondersi dei suicidi tra i militari, l’aumento del fenomeno e’ legato allo stress continuato cui sono sottoposti i contingenti americani sui teatri di guerra dell’Iraq e dell’Afghanistan. Dopo nove anni di guerra la struttura morale e operativa dell’Esercito americano comincia a mostrare seri segni di sfaldamento. Nei primi sei mesi dell’anno sono stati 80 i casi di suicidio tra le truppe in sede operativa, superando in termini di percentuale quella dei suicidi tra i civili negli Stati Uniti. Ai militari che si uccidono nell’Esercito si devono aggiungere anche i giovani che fanno parte della Army National Guard. Si tratta di persone che negli anni passati aderivano alle lusinghe del reclutamento perche’ gli venivano garantite le spese universitarie oltre all’assicurazione malattie per se’ e per l’eventuale coniuge. Ma la guerra in Iraq e Afghanistan ha costretto queste persone non solo all’allungamento dei periodi di ferma, ma anche a dover essere disponibili per due , tre missioni sui teatri di guerra. La National Guard ha avuto 65 suicidi nei primi sei mesi dell’anno. Una delle componenti della fatale decisione di porre fine alla propria esistenza va ricercata secondo gli analisti dell’Esercito non solo nello stress ma anche nella cattiva situazione economica in cui versa la maggioranza delle famiglie americane.