Qualcuno, leggendo le notizie di agenzia sull’assegnazione del Premio Nobel per la Pace, deve aver pensato a un pesce d’aprile fuori stagione. Ma la notizia era vera: quest’anno il Premio Nobel per la Pace è stato assegnato all’Unione Europea.
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Con questa motivazione: il ruolo giocato per oltre 6 decenni per la pace e la riconciliazione in Europa tra paesi che avevano combattuto le più sanguinose guerre tra loro. I più critici lo interpreteranno come un premio alla memoria, visto lo stato di progressiva disgregazione dell’Unione, a cominciare dall’Eurozona. Più probabilmente, si tratta di un premio d’incoraggiamento, viste le tensioni crescenti tra paesi europei. Come dire: cercatevi di comportarvi bene anche in futuro. Certo che parlare oggi di “fraternità tra le nazioni” a proposito dell’Unione Europea suona un po’ ironico.
Inteso come premio d’incoraggiamento, quello di quest’anno si porrebbe in continuità con il Nobel per la Pace attribuito anni fa – nella sorpresa generale – a Barack Obama. In quel caso, però, non funzionò molto bene: infatti il presidente degli Stati Uniti pochi mesi dopo l’assegnazione del premio pensò bene di raddoppiare gli effettivi dell’esercito statunitense in Afghanistan.
Ma al di là delle intenzioni c’è qualcos’altro, in questo premio, che lascia perplessi. Qualcosa che ha a che fare sia con la storia che con la geografia. In effetti, è difficile dimenticare le guerre sanguinose che hanno devastato negli anni Novanta la ex-Jugoslavia, paese – salvo errore – a tutti gli effetti europeo. E il fatto che l’Unione Europea giocò un ruolo tutt’altro che positivo in quella vicenda. Prima, col riconoscimento tedesco dell’autonomia della Croazia, che diede un contributo decisivo alla disgregazione della Jugoslavia e all’esplosione della polveriera balcanica. Poi, con le ripetute divisioni tra paesi europei nel corso delle trattative di pace (vedi Rambouillet). Infine, con i bombardamenti NATO (perdipiù in assenza di autorizzazione Onu), effettuati soprattutto su obiettivi civili, a Belgrado e in altre città.
Di tutto questo, nelle motivazioni del premio, ovviamente non c’è traccia.
Si salutano invece come aspetti positivi la prossima ammissione della Croazia nell’Unione, l’apertura di negoziati col Montenegro, e la concessione dello status di candidata all’ammissione per la Serbia, ritenendo che tutto ciò “rafforzi il processo di riconciliazione nei Balcani”. Processo che a dire il vero, sinora, in Kosovo e altrove, ben difficilmente può essere considerato un caso di successo. Ma a Oslo, evidentemente, la pensano in modo diverso.