Fidel Castro sulla Libia: “;Guerra NATO inevitabile.”

L’Escambray, 3 marzo, 2011

Al contrario di ciò che succede nell’Egitto ed in Tunisia, la Libia
occupa il primo posto nell’Indice di Sviluppo Umano in Africa, con
l’aspettativa di vita più alta del continente.

 

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L’educazione e la
salute ricevono un’attenzione speciale dallo Stato. Il livello
culturale della sua popolazione è senza dubbio il più alto. I suoi
problemi sono di un genere diverso. Alla popolazione non manca il
cibo ed i servizi essenziali sociali. Il paese ha avuto abbondante
bisogno di forza lavoro straniera per eseguire progetti ambiziosi
per la produzione e lo sviluppo sociale.

Per queste ragioni, ha fornito lavoro per centinaia di migliaia di
operai da Egitto, Tunisia, Cina e altri paesi. Ha avuto enormi
proventi e riserve in valute convertibili depositate nelle banche
dei paesi ricchi, da cui ha acquisito generi di consumo e armi anche
sofisticate che sono stati forniti esattamente dagli stessi paesi
che oggi vuole invaderlo in nome dei diritti umani.

La campagna colossale di bugie, sparso dai mezzi di comunicazione di
massa, ha creato una grande confusione nell’opinione pubblica
mondiale. Passerà del tempo prima di poter ricostruire ciò che è
successo realmente in Libia, e di separare i fatti reali da quelli
falsi che sono stati diffusi.

Emittenti televisiva serie e prestigiose come Telesur , si sono
sentite in dovere di inviare giornalisti e cameraman per seguire gli
avvenimenti sia da una parte che dall’altra, allo scopo di informare
su ciò che succedeva realmente.

Le comunicazioni sono state bloccate, i funzionari diplomatici
onesti hanno ridchiato le loro vite passando attraverso le zone di
conflitto per osservare informare, giorno e notte, su ciò che
avveniva. L’impero ed i suoi alleati principali hanno invece usato i
mezzi di comunicazione più sofisticati presentando gli avvenimenti
in modo tale che chi voleva informarsi ha dovuto farsi un’idea della
realtà leggendo tra le righe della disinformazione.

Senza dubbio, le facce dei giovani che protestavano in Benghazi,
negli uomini e nelle donne che indossano il velo meno, esprimevano
un’indignazione genuina.

Si può tuttavia notare l’influenza che il componente tribale
esercita su quel paese arabo, malgrado la comune fede musulmana che
95% della sua popolazione condivide sinceramente.

L’imperialismo e la NATO – molto preoccupati dall’ondata
rivoluzionaria sviluppatasi nel mondo arabo, fonte di grande parte
del petrolio che sostiene l’economia di consumo dei paesi sviluppati
e ricchi – non hanno interesse a intervenire in modo positivo nel
conflitto interno sorto in Libia ma possono trarne vantaggio, fino
ad arrivare all’opzione dell’intervento armato. Le dichiarazioni
fatte dalla destra dell’amministrazione degli Stati Uniti dal primo
istante erano categoriche in tal senso.

Le circostanze non potrebbero essere più propizie. Nelle elezioni di
novembre, la destra repubblicana ha sferrato un colpo che risuona
ora sul presidente Obama, un esperto nella retorica.

Il gruppo fascista “mission accomplished”, ora sostenuto
ideologicamente dagli estremisti del Tea Party, ha ridotto le
possibilità del presidente attuale a un ruolo semplicemente
decorativo, nel quale anche il suo programma sulla sanità pubblica e
l’incerta ripresa economica sono in pericolo a causa del deficit di
bilancio e della crescita irrefrenabile del debito pubblico, che ha
superato ogni record storico.

Malgrado l’inondazione di bugie e la confusione che è stato creata,
gli Stati Uniti non dovrebbero riuscire a trascinare la Cina e la
Federazione russa nell’approvazione al Consiglio di sicurezza di un
intervento militare in Libia, per quanto siano comunque riusciti ad
ottenere nel Consiglio per i Diritti Umani l’approvazione degli
obbiettivi che cercavano a quel momento. Riguardo a un intervento
militare, il Segretario di Stato ha dichiarato con parole che non
ammettono dubbi: “Non è esclusa alcuna opzione”.

La situazione reale è che la Libia è coinvolta oggi in una guerra
civile, cosa che avevamo previsto, con le Nazioni Unite che nulla
potrebbero fare per scongiurarla visto che il suo Segretario
Generale ne attizza il fuoco con abbondanti dosi di carburante.

Il problema che forse gli attori suddetti non avevano considerato è
che i più autorevoli dirigenti della rivolta intervenissero con
forza nella complessa situazione dichiarando il loro rifiuto ad ogni
intervento militare straniero.

Le varie agenzie di stampa hanno informato che Abdelhafiz Ghoga, il
portavoce per il Comitato della Rivoluzione, ha dichiarato lunedì 28
febbraio che “Il territorio (non ancora ‘liberato’ ndt) della Libia
sarà reso libero dal popolo libico”.

“Contiamo sull’esercito per liberare Tripoli’ ha assicurato Ghoga
durante l’annuncio della formazione di un “Consiglio Nazionale” che
rappresenti le città del paese nelle mani dell’insurrezione”.

“‘Ciò che vogliamo sono informazioni di intelligence, ma in nessun
caso che la nostra sovranità sia colpita dall’aria, sulla terra o
sui mari’, ha aggiunto durante un incontro con i giornalisti in
questa città situata a 1000 chilometri ad est di Tripoli”.

“L’intransigenza delle persone responsabili dell’opposizione sulla
questione della sovranità nazionale espressa alla stampa
internazionale a Benghazi rifletteva l’opinione spontaneamente
manifestata da molti cittadini libici “, informa un dispaccio
dell’agenzia di AFP lunedì scorso.

Quello stesso giorno, un professore di scienze politiche
all’Università di Benghazi, Abeir Imneina, ha dichiarato:

“C’è un forte sentimento nazionale in Libia”.

“‘Inoltre, l’esempio degli scioperi in Iraq è temuto per l’intero
mondo arabo’, ha sottolineato, in riferimento all’invasione
americana del 2003 che, sdoganata come portatrice di democrazia in
quel paese e poi, per ‘contagio’, nella regione intera, si è
rivelata un’ipotesi completamente smentita dai fatti”.

Il professore continua:

“‘Sappiamo ciò che è successo nell’Iraq, divenuto completamente
instabile, e non ne vogliamo seguire lo stesso sentiero. Non
vogliamo qui gli americani per poi dover rimpiangere Gaddafi’, ha
continuato l’esperto”.

“Ma secondo Abeir Imneina, ‘esiste anche il sentire che questa è la
nostra rivoluzione, e che siamo noi che dobbiamo farla’.”

Poche ore dopo che questi dispacci sono stati pubblicati, due dei
principali mezzi stampa degli Stati Uniti, il New York Times ed il
Washington Post, si sono affrettati a proporre nuove versioni sulla
situazione; l’agenzia DPA informa su questo il giorno seguente, l’1
marzo:

“L’opposizione libica potrebbe richiedere all’Occidente il
bombardamento aereo delle postaioni strategiche delle forze fedeli
al Presidente Muamar al Gaddafi, informa oggi la stampa
statunitense”.

“La questione sarà discussa dal Consiglio Rivoluzionario libico,
hanno specificato nelle loro versioni on line ‘The New York Times’ e
‘The Washington Post’ “.

“‘The New York Times’ fa notare che queste discussioni rivelano la
frustrazione crescente dei dirigenti ribelli al cospetto della
possibilità che Gaddafi potrebbe riconquistare il potere”.

“Nel caso che azioni aeree siano eseguite entro la struttura delle
Nazioni Unite, questo non implicherebbe l’intervento internazionale,
ha spiegato il portavoce del consiglio, citato dal New York Times”.

“Il consiglio è costituito da avvocati, accademici, giudici e membri
prominenti di società libica”.

La risoluzione dichiara:

“‘Il Washington Post’ ha riportato l’opinione dei ribelli, i quali
affermano che senza il supporto Occidentale combattere contro le
forze fedeli a Gaddafi potrebbe durare moolto tempo e costare moolte
vite umane”.

È da notare che in questo quadro, non un solo operaio, contadino o
muratore siano menzionati, nessuno che sia legato alla produzione
materiale o alcun giovane studente o alcun combattente al di fuori
di quelli che partecipano alle dimostrazioni. Perché lo sforzo di
presentare i ribelli come membri prominenti della società che
richiedono bombardamenti agli Stati Uniti e alla NATO al fine di
uccidere compatrioti libici?

Un giorno sapremo la verità, attraverso persone come il professore
di scienze politiche dall’Università di Benghazi che, con la sua
eloquenza, ci racconta l’esperienza terribile di vedere in Iraq
uccidere, distruggere case, lasciare senza lavoro milioni di persone
e costringendoli ad emigrare.

Mercoledì 2 marzo, l’Agenzia EFE presenta il ben conosciuto
portavoce ribelle che fa delle dichiarazioni le quali, a mio parere,
confermano e contraddicono allo stesso tempo ciò che ha affermato
lunedì: “Il Benghazi (Libia), 2 marzo. La direzione della ribellione
libica ha chiesto oggi al Consiglio di sicurezza dell’Onu di
lanciare un attacco aereo ‘contro i mercenari’ del regime di Muamar
el Gaddafi”.

“‘Il Nostro Esercito non può lanciare degli attacchi contro i
mercenari, causa il loro ruolo difensivo’, ha dichiarato il
portavoce per i ribelli, Abdelhafiz Ghoga, a una conferenza stampa
in Benghazi”.

“‘Un attacco strategico aereo è diverso da un intervento straniero
che rigettiamo’, ha accentuato il portavoce per le forze di
opposizione che sempre ha dichiarato di essere contrario ad un
intervento straniero militare nel conflitto libico”.

A quale delle molte guerre imperialiste somiglierebbe questa?

A quella di Spagna nel 1936? Mussolini contro l’Etiopia nel 1935?
George W. Cespuglio contro l’Iraq nell’anno 2003 o qualunque altra
delle dozzine di guerre promosse dagli Stati Uniti contro i popoli
delle Americhe, dall’invasione del Messico nel 1846 all’invasione
delle Isole Falkland nel 1982?

Senza escludere, certo, l’invasione mercenaria della Baia dei Porci,
la guerra sporca ed il blocco della nostra Patria che persiste da 50
anni, che avrà un altro anniversario il prossimo 16 aprile.

In tutte quelle guerre, compresa quella contro il Vietnam costata
milioni di vite, hanno prevalso le giustificazioni e le misure più
ciniche.

Per chi ancora conservi dei dubbi circa l’imminenza dell’intervento
militare in Libia, l’agenzia di stampa AP, che considero essere ben
informata, sottolinea oggi un’informativa che riporta:
“La diplomazia afferma che ‘I Paesi NATO stanno preparando un piano
di emergenza prendendo a modello la ‘no fly zone’ stabilita per i
Balcani nel 1990, in previsione che la comunità internazionale
decida di imporre un embargo aereo sulla Libia'”.
E conclude:
“I funzionari, non autorizzati a fornire i loro nomi causa la natura
delicata della questione, hanno indicato che le opzioni prese in
considerazione vanno dall’imposizione di una ‘no fly zone’ sul
modello che l’alleanza militare occidentale impose sui cieli di
Bosnia nel 1993, e che ebbe il mandato del Consiglio di Sicurezza,
fino all’opzione di un bombardamento NATO modello Kosovo 1999, CHE
TALE MANDATO NON EBBE”.

 

Fidel Castro Ruz