Lo sloveno nelle scuole italiane: le idee della sinistra

Sulla questione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole italiane di Trieste e nella fascia confinaria della regione i giornali hanno pubblicato le posizioni convergenti dei rappresentanti della sinistra, il consigliere regionale Igor Kocijančič (PRC) e del segretario regionale del PdCI Stojan Spetič. 

 

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Igor Kocijančič 

Introduzione dello sloveno nelle scuole italiane:
una questione mal posta (e “mal risposta”)

    La proposta di Damijan Terpin, ripresa con grande rilevanza nell’edizione di ieri de »Il Piccolo«, di introduzione dell’insegnamento dello sloveno anche negli istituti scolastici con lingua d’insegnamento italiana é indubbiamente interessante e da incoraggiare ulteriormente. Tuttavia va detto anche chiaramente che i presupposti e le motivazioni alla base della proposta, quantomeno quanto ripreso nell’articolo in questione, risultano del tutto inadeguate e fuorvianti.
Ritengo che l’insegnamento della lingua slovena nelle scuole italiane non possa essere posta su basi rivendicative e di »risarcimento«, bensì in base al semplice ragionamento, proprio delle comunità più civilmente evolute, che è giusto conoscere quella che a Trieste, Gorizia e nel cosiddetto Friuli orientale è, a tutti gli effetti, lingua d’ambito, oltre che essere lingua comunitaria da almeno un lustro.
    Da questo punto di vista risultano datate, inopportune ed inadeguate anche le reazioni ed i commenti alla proposta, indipendentemente dai versanti di provenienza, perchè ispirati ed orientati quasi tutti da retaggi del passato, diffidenze e »prudenze« che sopravvivono alla stessa realtà. E’ chiaro che dal punto di vista didattico una maggiore presenza di bambine e bambini non madre lingua nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena induca altri tipi di approccio: per la soluzione di questi problemi esistono già letteratura e pratiche adeguate.
    Oggi però molti »italiani« scelgono non solo di iscrivere i propri figli alle scuole con lingua d’insegnamento slovena, ma addirittura di risiedere in Slovenia, di trasferire lì la propria attività lavorativa, per fare solo alcuni esempi e probabilmente la maggior parte di queste persone dovrebbe tendere all’integrazione ed all’utilizzo di ulteriori opportunità, anche di prospettiva, finora niente affatto scontate. Questa dovrebbe essere la base del ragionamento da suggerire ai dirigenti scolastici, almeno quelli più lungimiranti, a prevedere, nell’ambito dell’autonomia scolastica, l’introduzione dell’insegnamento dello sloveno nelle scuole di queste zone.

 Stojan Spetič:

La questione dell’insegnamento della lingua slovena nelle scuole italiane, maldestramente sollevata dal segretario dell’ Unione slovena avv. Damijan Terpin, è una questione troppo seria per essere lasciata soltanto alle sterili polemiche politiche prive del senso della prospettiva futura e dello sviluppo delle nostre terre in un contesto di integrazione europea accelerata dalla caduta dei confini.
    La nostra regione ha istituzioni culturali come le facoltà di educazione primaria delle università di Trieste ed Udine in grado di progettare questi sviluppi futuri. Una legge regionale incentiva inoltre l’insegnamento della lingua del vicino.
    E’ indubbio che è in crescita la domanda di conoscenza della lingua del vicino di casa anche per le implicazioni che riguardano le possibilità imprenditoriali, di lavoro e di insediamento abitativo nell’area allargata oltre quella che fu una frontiera. E sarebbe ingiusto che a tale domanda debbano supplire soltanto le scuole con lingua d’insegnamento slovena.
    L’insegnamento della lingua del vicino nelle scuole dell’obbligo sarebbe certamente un passo importante, specie se accompagnato da una crescente collaborazione tra le scuole della maggioranza e della minoranza. Già esistono casi lodevoli di cooperazione tra scuole dell’obbligo slovene ed italiane, come nella zona di Cattinara e Melara. Così succede da anni in Istria dove l’italiano viene considerato »lingua d’ambiente« anche per sottolineare la sua storica presenza in quest’area. Qualcosa di simile da tempo immemore accade nella Carinzia meridionale austriaca.
    Personalmente sono convinto che alla fine del percorso che probabilmente durerà decenni si arriverà a costituire scuole uniche bilingui, più o meno simili a quella operante in via sperimentale a San Pietro del Natisone, fucina di una cultura della convivenza nella conoscenza.